The Big Game

Per chi arriva in macchina dalla Russia europea il biglietto da visita del Kazakhstan è costituito da una manciata di strade sterrate, disseminate di buche profonde fino a mezzo metro. A confermare che la madre Russia è ormai lontana ci penserà di lì a poco il paesaggio: una steppa desertica e desolata, che si distende a vista d’occhio.
È il Karachaganak, Nord-Ovest del Kazakhstan, una delle regioni più ricche di
petrolio e gas al mondo.

La corsa all’oro nero da queste parti è iniziata qualche anno fa. A darne il via non è stata tanto la dissoluzione dell’Unione Sovietica (e l’indipendenza raggiunta dal Paese nel 1991), quanto l’elezione a Presidente del discusso Nursultan Nazerbaev, ex leader del Partito Comunista kazako e attuale uomo più ricco del Paese, ottavo più ricco al mondo per uno Stato che stima un PIL di soli 56 miliardi di dollari, superato dal Bangladesh e di gran lunga da Nigeria e Romania. È stato il Presidente, infatti, a decidere la vasta opera di privatizzazione del settore energetico. Le maggiori multinazionali petrolifere non hanno esitato ad investire massicciamente nel Paese, spartendosi in poco tempo le licenze per lo sfruttamento dei giacimenti e gli appalti per la costruzione di infrastrutture e pipelines. Non è inusuale,quindi, sentir parlare italiano o inglese da queste parti: Agip e British Gas detengono le quote di maggioranza nel consorzio (cui partecipano anche la statunitense ChevronTexaco e la russa Lukoil) che per 40 anni ha diritto a sfruttare i giacimenti.


Incontriamo ingegneri con alle spalle Libia e Nigeria, Algeria e Mar del Nord. Ora gravitano attorno ad Aksai, un centro polveroso di 30.000 anime a pochi Km dal
confine russo. “Qui si lavora 12 ore al giorno” spiega un dipendente Agip “Ogni 4
settimane qua però ne passo altrettante a casa”. Più a lungo, del resto, sarebbe difficile resistere. Soprattutto in inverno, quando la temperatura può scendere fino ai 40 gradi sotto zero.
I tecnici stranieri risiedono per lo più nel Check Camp, una cittadella controllata a
vista da guardie armate. Le persone locali non vi hanno accesso, a parte le ragazze che la sera affollano il pub nella speranza dell’incontro che le possa cambiare la vita. “A parte l’ottimo stipendio, sono le ragazze a spingermi a continuare a lavorare in questo posto dimenticato da Dio” si confessa John, inglese, due anni da pendolare Londra-Aksai. Coloro che lavorano qui più stabilmente affittano alloggi in lugubri palazzoni costruiti in epoca sovietica. Con il crescere delle richieste, i loro prezzi sono lievitati a dismisura e affittare un minuscolo appartamento costa almeno 300 $ al mese. Sono pochi i locali che si possono permettere certe cifre, così la maggior parte di questi vive in vere e proprie catapecchie nell’Aksai vecchia dove manca tutto, paradossalmente anche acqua calda, luce elettrica e riscaldamento.
“A volte le ragazze ti si avvicinano solo per poter venire da te, farsi una doccia e dormire in un letto comodo al caldo” ci confessano alcuni italiani.

“Per me l’arrivo delle compagnie estere è stata una fortuna”. Da dietro il bancone del Trnava, l’unico negozio della città, Olga sorride scoprendo i suoi denti d’oro. Come lei, altri in città hanno trova to un lavoro: autisti, donne delle pulizie, guardiani. Nessuno come tecnico: quelli arrivano da Uralsk, Almaty, addiritura da Mosca. Per tutti gli altri locali, e sono la maggioranza, la vita è ancora fatta di piccolo commercio ai bordi delle strade dove sfrecciano fuoristrada americani e arrancano vecchie Lada.

Pochi Km più in là è campagna, e qui a vita scorre lenta e uguale a se stessa da secoli, tra pascoli e campi duri da coltivare. Le piattaforme delle unità produttive si vedono all’orizzonte, ma no n potrebbero essere più lontane.
La nuova frontiera nella corsa all’oro nero, ci spiegano gli esperti, si è spostata
qualche centinaia di Km più a sud, sul Mar Caspio. Si calcola infatti che in questo che è il più grande mare chiuso al mondo, sia racchius a quasi la metà delle riserve
petrolifere mondiali. Non a caso i cinque Paesi che vi si affacciano (Kazakhstan, Iran, Turkmenistan, Russia e Azerbaigian) non si sono ancora accordati sul criterio da seguire per la divisione delle sue acque.
Sulla sua costa settentrionale, nel territorio kazako del Kashagan, si è ancora allo
stadio esplorativo, ma gli attuali sviluppi sono straordinariamente incoraggianti tanto da far parlare del più importante ritrovamento petrolifero mondiale degli ultimi decenni (oltre 40 miliardi di barili di petrolio) che proietterebbe il Kazakhstan tra i primi 5 produttori mondiali di greggio. L’ENI l’anno scorso ha vinto la gara internazionale per essere operatore unico, ma tutte le maggiori compagnie mondiali sono presenti nel consorzio.
Atyrau, città-chiave affacciata sul fiume Ural a pochi Km dal Caspio, si sta
rapidamente trasformando. Sul ciglio della strada troviamo donne che vendono
biscotti casalinghi, sigarette sciolte e latte nelle bottiglie di plastica dell’acqua. Alle loro spalle si erge una vera e propria città nella città, costruita dagli americani della Chevron: caseggiati color panna che ospitano non solo abitazioni, ma anche scuole, asili nido e ristoranti; il tutto naturalmente recintato e ipercontrollato. Le altre compagnie si stanno attrezzando: alberghi di lusso e moderni edifici, quali quello costruito dall’Agip per i suoi uffici, stanno nascendo tra i vecchi palazzoni del centro e le catapecchie della periferia.
La prossima fase del “Big Game” per il controllo del petrolio caspico si giocherà in
queste terre e riguarderà il problema che per anni ha frenato l’attività estrattiva nella zona, quello degli oledotti. Di fronte, nonostante i più o meno concreti avvicinamenti politici degli ultimi tempi, Russia e Stati Uniti.
La Russia gode di un vantaggio iniziale: tutte le pipelines attualmente esistenti, per quanto obsolete o attraversanti zone instabili (come la Cecenia), tagliano almeno in parte il suo territorio e su esse Mosca impone pesanti royalties. Inoltre, dopo circa dieci anni di lavori e oltre 2,5 mld di euro di investimento, ha inaugurato una nuova pipeline che dal Kashagan raggiunge il proprio porto di Novorossiisk, sul Mar Nero. Gli Stati Uniti sembrano in ritardo, ma l’appoggio di molti Paesi ex sovietici decisi ad affrancarsi dalla condizione di “cortile di casa” di Mosca, e i maggiori mezzi finanziari e tecnologici, possono colmare il gap. L’obiettivo è quello di sviluppare una rete di trasporto che eviti Russia e Iran .

L’oleodotto che da anni gli Stati Uniti hanno sostenuto per bypassare quelli russi, è il Baku (Azerbaijan) - Tblisi (Georgia) - Ceyhan (Turchia). Rimane anche in piedi l’opzione Baku - Supsa (Georgia) e da qui il trasporto del greggio via nave verso l’Europa attraverso il Mar Nero. E soprattutto, con lo stabilizzarsi della situazione afgana, può ritornare in auge un’ipotesi caldeggiata dalla Casa Bianca fin dagli anni ’90: una super-pipeline (oltre 1000 Km) che porterebbe il petrolio dell'Asia Centrale da Chardzhou (Turkmenistan) fino alla costa pakistana del Golfo Persico passando per l’Afghanistan. Il perché di tale investimento è chiaro: con i livelli di sviluppo di questi anni, la domanda di energia da parte dei Paesi del sud-est asiatico crescerà esponenzialmente. Per lo stesso motivo, la stessa Cina cerca di ritagliarsi uno spazio tra Russia e Stati Uniti: nonostante gli ingenti costi che comporterebbe, è in fase di progettazione un oleodotto che la raggiungerebbe dopo aver attraversato tutto il Kazakhstan. I prossimi anni ci diranno chi saranno i vincitori del “Big Game” che determinerà il futuro energetico del pianeta.
Intanto scende la sera ad Ayrau e le donne rannichhiate ai lati della strada continuano a vendere i loro biscotti impolverati. Alzano lo sguardo solo di tanto in tanto, per controllare i loro figli che si tuffano nelle acque inquinate dell’Ural.
Comunque vada, il “Big Game” ha già i suoi spettatori.
(ringrazio il collega e amico Diego Rivetti per le sue testimonianze)

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