Dalle paludi alla steppa, dall’Europa all’Asia



Oltre l'Ural, viaggiando tra buche e cammelli

Siamo partiti, finalmente. E da stasera siamo ufficialmente passati dall’Europa all’Asia: stanotte dormiremo ad Atyrau, città kazaka sul fiume Ural, un nastro d’acqua più piccolo del Volga, che però per convenzione fa da confine tra i due continenti. Atyrau ci tiene, al ruolo del suo fiume: tanto che alle estremità del ponte che collega le due rive ha costruito bizzarri tempietti neoclassici, coi nomi di Asia ed Europa in doppi caratteri (cirillici e latini) incisi sui frontoni. Il nostro hotel si trova dalla parte del tempietto Asia, a cento metri dalle acque dell’Ural.
In realtà l’Europa finisce molto prima di Atyrau, appena fuori Astrakhan: ce ne siamo accorti dal mutare progressivo dei volti, dei paesaggi, dei ritmi di vita, anche dello stato delle strade. Che in Russia è più che decente, ma quando si passa in Kazakhstan crolla di colpo; in teoria tutto il tragitto per Atyrau è asfaltato, ma l’asfalto kazako è come l’Araba Fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Certamente sulle strade ce n'è poco e quel poco sembra la pelle di un cammello dopo un trattamento a base di pomata alla diossina.

Anche il paesaggio è cambiato in fretta. Poco fuori Astrakhan, nel delta del Volga, era un trionfo d’acqua, una distesa di golene e boschetti di salici, tagliata dai bracci secondari del fiume, su due dei quali (Buzan e Kigac) abbiamo traghettato su chiatte a motore. Poi, oltre il confine kazako, è subentrato un paesaggio schizofrenico, a mezza via tra la Camargue e il Sahara: in certi tratti avevamo a destra paludi con anatre e aironi, a sinistra dune gialle con branchi di cammelli. Infine dune e paludi sono sparite ed è rimasta solo un’immensa steppa semi-disabitata.

Ovunque, dalle paludi alla steppa, ci ha tenuto compagnia il vento, che qui soffia sempre forte perché la natura non ha previsto neppure un monte che lo contrasti (anzi, per eccesso di zelo, ha piazzato tutto sotto del livello del mare). Pochi posti al mondo sono piatti e noiosi come la regione a nord del Mar Caspio: i nostri due frati ci avevano avvertiti. Scriveva fra’ Giovanni: “Attraversammo il territorio dei Comani, che è interamente pianeggiante”. E fra’ Guglielmo: “Il Mar Caspio è circondato su tre lati dai monti mentre a nord si estende una pianura”.

Noi siamo appunto poco a nord del Mar Caspio. Quanto ai Comani, antico popolo che spaziava dal Mar Nero all’odierno Kazakhstan, si sono persi nel pot-pourri di genti che vive in queste regioni. Eppure qualcosa di loro è rimasto, almeno nelle abitudini degli abitanti: per esempio l'uso di costellare la steppa di grandi cimiteri, lontani da villaggi e città. Scriveva fra’ Guglielmo: “Non vedemmo alcuna città né rovina di una qualche costruzione dove fosse una città, ad eccezione delle tombe dei Comani in grandissima quantità”. In Kazakhstan è ancora così: ogni tanto nel nulla spunta un cimitero, irto di mezzelune; poi riprende il nulla della steppa.

Arrivando da quel nulla, il capolinea della tappa ci è sembrato una metropoli. In realtà Atyrau è una cittadina di pionieri mezza sfasciata, che negli ultimi anni ha attirato gente solo perché nei suoi dintorni ci sono giacimenti di petrolio e gas, che dopo il crollo dell’Urss sono stati divisi fra le compagnie occidentali: la parte del leone l’ha fatta l'americana Chevron. Risultato: il governo kazako può contare su una montagna di royalties e sul silenzio dell’Occidente sui metodi con cui si regge la “democrazia” locale, che non riesce a togliersi di dosso le virgolette.

(Giovanni da Pian del Carpine e Guglielmo da Rubrouck, Focus Storia)