K A R O Y - un film di Zhanna Issabayeva



Regia: Zhanna Issabayeva; interpreti: Yerzhan Tusupov, Rimkesh Omarkhanova, Aiman Aimagambetova, Kadirbek Demesin, Gulnazid Omarova; produzione: Sun Production, WorkStation Production House; origine: Kazakhstan 2007; durata: 93’

Ecco come la critica cinematografica può distruggere l'immagine di un Paese, distorcendone la realtà. Proprio come molti si sono fatti ingannare dal simpatico Borat, che ha scelto il Kazakhstan per ambientare un carattere e un paesaggio tutt'altro che compatibili con quel Paese, così la bravissima la regista kazaka Zhanna Issabayeva è stata interpretata come un'autrice di documentari, piuttosto che come una regista che racconti una storia, magari inventata, certamente esagerata, ma perchè per forza rappresentativa del suo Paese di origine? E' come dire che Friedrich Wilhelm Murnau, il creatore di Nosferatu, abbia documentato la reale esistenza di vampiri nella Romania degli anni Venti. Come se non bastassero i rom...

Recensione della giornalista Anna Maria Pasetti:
La conversione dal Male al Bene in versione kazaka. E femminile. Unica regista tra gli esordienti della Settimana internazionale della Critica (e una delle poche voci rosa dell'intera Mostra di quest'anno), la 39enne Zhanna Issabayeva ha messo in scena in Karoy il tema centrale dell'esistenza, lavorando sul cambiamento di un uomo. Il suo Azat è un inetto e malvagio a 360°e l'incontro con la madre anziana a malata lo porta miracolosamente ad una revisione interiore, sfociando in pentimento ed espiazione.
Se la storia è tutto tranne che originale, di certo ha pochi precedenti nel contesto socio-geografico (il più recente kazako di cui il cinema abbia parlato è Borat!) in cui è ambientata. La Zhanna ha esperienza professionale come giornalista, pubblicitaria e produttrice e sguardo acuto su quello che mostra. Che non è soltanto una vicenda privata ma un mondo di certo poco esplorato dall'Occidente, in cui le sue concittadine appaiono come sono ancora (e purtroppo) nella triste realtà della sottomissione agli uomini di casa. Ma non per questo non sono in grado di fungere come motore della coscienza, anche del maschio più violento come è il protagonista di Karoy. Il film è formalmente molto curato, sia negli aspetti fotografici che dell'uso delle inquadrature, con una prevalenza di carrellate che accompagnano i moti esteriori ed interiori dei personaggi.
Sinossi:
Azat è un buono a nulla, un mentitore capace di ogni cosa, in movimento da un villaggio all'altro in cerca di gente di cui approfittare, un farabutto dall'aria neanche minacciosa, anzi mite, ma privo di qualsiasi scrupolo, in grado tanto di piangere per estorcere con la menzogna denaro ai parenti, quanto di ubriacarsi e compiere le peggiori nefandezze ai danni di donne, vecchie e bambini. Quando gli uomini del villaggio lo mettono nelle condizioni di pentirsi una volta per tutte delle sue malefatte, il ritorno a casa dalla madre morente lo costringe a fare i conti con la sua coscienza: buona o cattiva che sia.
Biografia:
Zhanna Issabayeva è nata nel 1968 ad Almaty, Kazakhstan. Laureata in giornalismo, ha poi lavorato per alcuni anni nel campo pubblicitario. Dal 1996 è diventata produttore esecutivo per film come Last Holiday (Grand Prix a Rotterdam) e Zhilama. È attualmente a capo della Sun Production, per la quale ha prodotto, con budget indipendente, il suo primo film da regista, Karoy.


Recensione apparsa sul sito close-up.it e firmata da Alessia Spagnoli, giornalista cinematografica:
(tenetevi forte)

In alcune società contemporanee, conchiuse in angoli sperduti del mondo, pare non possa o non debba esserci alcuna possibilità di scelta per i suoi abitanti. Il bel film kazako dell’esordiente regista Zhanna Issabaeva racconta vicende umane dolorosissime, crudeli, in cui l’atrocità del tono è segnata da una violenza che è insieme concreta e intangibile, un destino ineffabile che opprime crudelmente le vite delle persone, come il cielo che schiaccia la terra nei suggestivi, eppure ostili, fondali naturali del Kazakhstan, splendidamente fotografati in Karoy. L’ex repubblica sovietica, dimenticata dal mondo, sta vivendo cinematograficamente una stagione, all’opposto, di rinascita, una vera e propria fase di “nouvelle vague”, come sostiene Fabio Ferzetti nella poche parole introduttive alla proiezione del film, presentato nella Settimana della Critica.
Nella prima parte del lungometraggio, la regista mostra il suo protagonista macchiarsi di una serie di azioni non solo moralmente basse, ma addirittura agghiaccianti. Fin dall’inizio della pellicola, assistiamo al suo gettar discredito sulla reputazione di una giovane donna, e questa sola diceria vale a far picchiare a sangue l’incolpevole ragazza dal suo promesso sposo. Dalle parole di quest’uomo apprendiamo come in Kazakhstan esista una forma di “stupro legalizzato”, per cui il futuro marito di una vergine può appurare la sua illibatezza attraverso la violenza fisica. E già solo da questo prima scoperta, nasce il brivido che accompagna l’intera visione del film.
In seguito vediamo il protagonista Azat (uno straordinario Yerzhan Tusupov: il suo, sì, che è un ruolo difficile!) derubare senza alcun rimorso l’anziana nonna del frutto del poco, sudato guadagno del povero commercio o privare un bambino del suo cavallino, mezzo di trasporto imprescindibile in quegli aspri scenari. Giunge perfino a stuprare una donna, non solo incinta, ma addirittura partoriente: e questa sequenza è una delle più violente e insostenibili mai contenute in un film, probabilmente.
Di fronte agli atti di questo campione di crudeltà inaudite, non può non scattare la repulsione e la condanna. Poi, però, l’uomo torna nella sua casa natale. E qui scopriamo che per i suoi due bambini è un padre affettuoso nonché un figlio amorevole per la madre moribonda. Tanto premuroso da esaudire la sua ultima, ancora una volta atroce, volontà. La Issabaeva non aiuta il pubblico a superare il disagio per questo scarto incomprensibile agli occhi di uno spettatore occidentale: non fornisce appigli, o giustificazioni di sorta per simili incongruenze comportamentali. Come si può comprendere, seppur lontanamente, come si possa mostrare per un simile soggetto sentimenti come l’umana comprensione o addirittura il compatimento? E, in quanto donna, non possiamo ritenere che la cineasta voglia o possa perdonare chiunque commetta uno stupro (e uno stupro del genere!) L’intento pare essere tutt’altro: la donna vuol rappresentare, attraverso la storia del suo protagonista, la storia del paese intero. Ella elegge a suo protagonista un uomo, relegando le varie donne al ruolo invariabile di vittime degli uomini. E, se le donne non possono che essere vittime, ella si interroga allora sul perché di questa violenza senza fine che le riguarda: e, ciò facendo, punta l’attenzione su ciò che ne è degli uomini, nel paese kazako. Parla di luoghi in cui uomini e donne sono condannati a esistenze disperate, in cui non c’è limite al carico di sofferenze che ciascuno deve portare su di sé, poiché è la violenza della società stessa che è inaudita.
Al di là dello shock di molte scene del film, ve n’è una, solo all’apparenza più pacifica e, proprio per questo più atroce, che mostra come ogni utopica speranza in un futuro migliore non possa applicarsi per i poverissimi abitanti delle montagne kazake: il padre di famiglia sta cucendo la cartella danneggiata della figliola maggiore, mentre questa e il figlio più piccolo fanno i compiti. L’illusione in una possibilità di riscatto sociale e morale tramite lo studio, si esplicita in questa immagine dolorosa.

La Issabaeva è una cineasta giovane, piacente (la si direbbe un’attrice) e questo Karoy rappresenta il suo primo, interessante lungometraggio: girare film nel suo paese non dev’essere impresa da poco, ma confidiamo che l’invito ad uno dei principali festival cinematografici del mondo possa, per così dire, “mettere in discesa” la sua carriera. Questo poiché riteniamo che il cinema del terzo millennio debba necessariamente aprirsi anche e soprattutto alle ultime “città proibite” ancora rimaste sul globo, e che ogni parola nuova detta su mondi sconosciuti o dimenticati, contribuisca ad alimentare la sua importanza e la sua magia. Qui ci viene mostrato cosa sia un vero kazako: Borat, insomma, sembra un alieno.

Ora io aggiungo:
Avrà mai fatto un giro in Asia Centrale, questa dottoressa Spagnoli? Di certo in Kazakhstan, specie nelle zone rurali più arretrate, vi sono abusi intollerabili sulla donna, tipici di ogni Paese che stia riscoprendo l'Islam e stia vivendo in profonda carenza di strutture democratiche. Ma non vorremmo tuttavia che si arrivasse a parlare con eccessiva facilità del Kazakhstan come quel funzionario pubblico, di cui non farò nomi; dirò giusto che si tratta della sarda che fa capo ai Rapporti con gli Organismi Internazionali dell'ICE (ricordo: l'Istituto per il Commercio Estero, quell'organismo che dovrebbe raccogliere esperti di relazioni internazionali e appassionati esterofili): nel 2007 lei affermò pubblicamente che in Kazakhstan non è riconosciuta la proprietà privata. Allora, io dico: in Italia non esiste la Mafia. Si faccia avanti chi la spara più grossa! Sù, apriamo il forum della cazzate!

La morale della favola è che più gonfiamo la realtà, più questa realtà... si rischia di avverarla. Dunque, non diamo al potere kazako la possibilità di concretare i nostri sospetti e cerchiamo piuttosto di vedere quanti progressi (siderali, se comparati alla stagnazione economica e istituzionale dell'Italia) questo Paese ha fatto in soli 15 anni, spingendolo a proseguire su questa direzione. Tra le prime riforme, parlo di 15 anni fa, vi è infatti la concessione totale della proprietà privata.