Borat non è stato qui

Sacha Baron Cohen, il comico inglese demenziale e dissacratore, ha inventato un insolito personaggio. Si chiama Borat Sagdiyev ed è un giornalista kazako in viaggio negli Stati Uniti. La sua missione ufficiale è girare un documentario sulla vita nella amata-odiata superpotenza. In realtà il suo scopo è incontrare l'eroina del suo telefilm preferito.

Nel film diretto da Larry Charles, Borat gira per gli States e non perde l'occasione per rivelare di che pasta è fatto: razzista, sessista, cialtrone, il personaggio di Cohen non fa buona pubblicità ai kazaki. In questo articolo John Noble, autore Lonely Planet, rimette un po' le cose a posto e svela che in Kazakistan, molto probabilmente, Sacha Baron Cohen non è mai stato.



Se per caso vi fosse venuto il sospetto, sappiate che il Kazakistan di cui ci parla Borat è del tutto immaginario. I cavalli non hanno ancora ottenuto il diritto di voto, le donne possono viaggiare all'interno degli autobus (pagando il biglietto) e il rabbino capo del paese non molto tempo fa ha lodato il governo per il suo sostegno alla piccola comunità ebraica, dove solo in Kazakistan ha lo status di minoranza nazionale, oltre che religiosa.

Probabilmente Sacha Baron Cohen ha scelto il Kazakistan come patria del suo Borat perché questo paese dell'Asia centrale non è molto conosciuto in Occidente. In pochi si accorgeranno della mistificazione, avrà pensato.

Nato dalla disgregazione dell'Unione Sovietica, nel 1991, il Kazakistan è il nono paese più grande al mondo e, grazie alle riserve di petrolio e gas, la sua economia è una delle più prospere dell'Asia centrale. Si trova nel cuore della grande distesa eurasiatica, in una posizione fortemente strategica, tra Russia, Cina e il mondo islamico, nel cuore delle steppe che si estendono dalla Mongolia all'Ucraina. Queste ondulate distese di praterie sono la dimora ancestrale dei kazaki, un popolo dedito fino a non molto tempo fa quasi esclusivamente al nomadismo. Oggi i kazaki abitano in città, paesi e villaggi, insieme a russi, ucraini, bielorussi, uzbeki, coreani e persone di molte altre nazionalità (tra le quali gli ebrei, appunto), che per lo più arrivarono in epoca sovietica, spesso come deportati politici o internati nei campi di lavoro. Per un semplice sospetto, Stalin vi fece deportare tutti gli 80.000 coreani sovietici che vivevano ai bordi della provincia di Vladivostok. Ora, girare per il padiglione delle etnìe all'interno del Museo Nazionale di Almaty e ritrovare segni della presenza coreana può sembrare strano, ma anche molto eccitante. Deportazioni o no, il Paese è un porto di mare...

Per i kazaki la tradizione è ancora al centro di tutto. Le famiglie riconducono il proprio albero genealogico alla stirpe di Gengis Khan e sono in molti a giocare l'antico e sfrenato sport del kokpar, una specie di polo senza regole in cui una carcassa di animale fa le veci della palla. Lungo le strade di campagna vedrete cavalieri che indossano cappucci di pelliccia e che, servendosi di lunghi bastoni, conducono mandrie di cavalli, bestiame o pecore. La carne di cavallo e il kumys (latte di cavalla fermentato e non, come Borat vorrebbe far credere, urina dell'animale) sono ancora gli alimenti di base, soprattutto nelle aree rurali.

Le antiche tradizioni sopravvivono, ma il Kazakistan post-sovietico è impegnato a reinventarsi e a fare di sé una prospera e moderna nazione eurasiatica. Le città sono ormai entrate a pieno titolo nel XXI secolo, anche se mantengono l'impronta sovietica. I loro centri commerciali sono aperti 24 ore su 24, non mancano i negozi delle grandi catene internazionali, i caffè in perfetto stile occidentale, ristoranti e alberghi di buona qualità, bar eleganti e nightclub. I telefoni cellulari, poi, sono nelle tasche di tutti. Nei quartieri periferici si sta sviluppando l'edilizia residenziale, mentre le strade sono sempre più affollate di Toyota, Volkswagen o Mercedes, che hanno preso il posto delle vecchie Lada e Volga. Le auto continuano a fermarsi in prossimità delle strisce pedonali, ma sempre meglio tenere gli occhi aperti, quando si attraversa la strada.

L'opposizione politica non è molto tollerata dal presidente Nursultan Nazarbaev, alla guida del paese dal 1989. La famiglia del presidente detiene un enorme potere e lo stesso Nazarbaev è ritenuto uno degli uomini più ricchi del mondo. Nel bene e nel male, il suo governo ha riportato il paese alla stabilità, dopo gli anni turbolenti dell'era post-sovietica.


Kazakistan, non solo petrolio
Il Kazakistan, questo paese ricco di petrolio e grande quasi dieci volte l'Italia, sembra guardare un po' dall'alto in basso le altre repubbliche dell'Asia centrale (i cui nomi terminano tutti con il suffisso "stan", che significa "paese"), che si estendono a sud dei suoi confini, e compatire la loro arretratezza.

Il Kazakistan continua a essere ai margini dei principali percorsi turistici e ad attirare più petrolieri che viaggiatori. E questo non è affatto uno svantaggio per chi è in cerca di mete ancora poco esplorate.

Gli spazi non mancano: con una densità di popolazione di appena 6 persone per kmq, la claustrofobia sarà l'ultimo dei miei problemi.

Il nonno delle mele IV

In TV un'emittente russa trasmette il serial Distretto di Polizia. Per un certo periodo, è stato per me l'unica ragione per la quale dover accendere il televisore.

SoRprendente anche il miglioramento dei gusti televisivi dei russi. Quando, 6 anni fa, ero in Russia, trasmettevano Tequila & Bonetti e - tenetevi forte - Alex l'Ariete con Alberto Tomba...

Velo pietoso.

Il nonno delle mele parte III






Ho il viso distrutto, gli occhi che implorano pietà, il respiro di chi sta scendendo negli abissi di una miniera di carbone, rughe e occhiaie da farci un quadro di Munch, il dolore alla carie che ha rispreso a pulsare come il tamburo di una banda di paese, le gambe fragili come se avessi 72 anni, non 27.
Queste sono solo lacrime di coccodrillo, è solo colpa mia se mi ritrovo in questo stato: ieri ho alzato il gomito con una collega d'ufficio e la sua cugina almatese, così soltanto adesso provo a contare le birre e i superalcolici che ho ingurgitato al Soho Club cantando al ritmo dei Dire Straits, Pink Floyd e Deep Purple (perfettamente eseguiti da due cover band di rara bravura!). www.soho.kz

Devo rimettermi in sesto per l'incontro con il direttore generale dell'Istituto promotore del mio viaggio. In fondo, sono qui per questo. Merda, il servizio breakfast è chiuso da un'ora, mi tocca far colazione al supermercato: meglio così, perchè in hotel non hanno la Red Bull! Me ne scolo 2, una dietro l'altra, accompagnandole con del pessimo caffè e due brioche kazake: una con del pollo grasso e duro da masticare e l'altra alla confettura di frutti di bosco. E' chiaro che butto via la prima, sto già male per conto mio e mi precipito sui preziosi zuccheri della seconda. Il tutto coronato da un Aulin per lenire quella grancassa che suona sul dente e sulla testa. Frugando nel mio zaino, mi ritrovo il pacco di Marlboro Light ma lo lancio via con violenza per il troppo male che mi ha fatto ieri sera (Sirchia, c'è bisogno di te nei locali kazaki! Vieni ad impedirmi le paglie anche qui!)

Il nonno delle mele parte II

Almaty (o Alma-ata) fu fondata nel 1854 come stazione di frontiera russa, al tempo in cui i kazaki erano ancora nomadi, e fu capitale del Kazakistan fino alla fine del 1997. Almaaty ha attirato una certa quantità di commercianti, diplomatici e finanzieri stranieri e kazaki interessati alla lucrosa attività di estrazione delle risorse minerarie. L'improvvisa esposizione al mondo esterno ha trasformato questo avamposto di provincia nella città più cosmopolita dell'Asia centrale: ci sono negozi, ristoranti, alberghi e casinò e la città risulterebbe irriconoscibile a chi non l'avesse più vista dopo il 1990. Ma ora che il governo ha spostato la capitale ad Astana (in precedenza chiamata Aqmola), nel nord del paese, il suo futuro è incerto.
Almaty è pulita (a parte l'aria) e gradevole da vedere, ha lunghi corsi rettilinei ed edifici bassi e uniformi, tipici dell'inconfondibile stile sovietico. La catena montuosa Zailiysky Alatau si innalza come un muro lungo il limite meridionale della città e crea uno sfondo bellissimo quando tempo e smog ne permettono la visione. Ci sono diversi parchi, spazi all'aperto e alberi, e molti degli edifici costruiti durante l'epoca sovietica sono impressionanti se guardati con attenzione.
I luoghi più interessanti comprendono il Parco Panfilov, un gradevole spazio rettangolare verdeggiante che circonda la luminosa Cattedrale Zenkov.
La cattedrale è uno dei pochi edifici di epoca zarista sopravvissuti al terremoto del 1911, nonostante sia stata interamente costruita in legno e, si dice, senza fare uso di chiodi. Di fronte all'estremità occidentale del parco si trovano le Terme Arasan, dove si possono consumare salame e vodka e contemplare le differenze tra le abitudini termali di turchi, russi e finlandesi.
Il Museo Centrale di Stato fornisce una valida, anche se un po' frammentaria e ideologica, introduzione alla storia del Kazakistan, ed espone una copia in miniatura del principale tesoro archeologico del paese: l'Uomo Dorato, ovvero il costume di un guerriero fatto con 4000 pezzi d'oro, molti dei quali sono finemente decorati con motivi animali.

Il nonno delle mele parte I

Sono contento, ansioso ed eccitato come se mi trovassi di fronte ad una lillese che conosco bene: scrivo da un Boeing 747 della AirAstana, la stessa compagnia che tre settimane fa mi ha portato in Kazakistan per la prima volta nella mia vita. Certamente non sto tornando indietro! In quel caso, sarei molto triste, dispiaciuto di dover abbandonare questo Paese.
Ma allora dove sto andando con il lussuoso AirAstana? Sto dirigendo corpo e mente sull'estremo Est kazako, verso un pietra incastonata tra la Cina e il Kirgyzystan, il padre delle mele, in kazako appunto: la città di Almaty.
Panini shaschlyk, samsa al formaggio, cappelli tipici in visone, musei di Stato, palazzi governativi, locali notturni, ogni tipo di etnia sovietica... Sto arrivando.
Montagne dell'Himalaya sovietico, eccomi fra voi. Finora Alamty mi è parsa più moderna, più viva, più romantica, più "capitale" di qualunque altra gorod del Kazakistan.
Il fastidio dei furbastri che mi hanno circondato all'uscita dell'aeroporto, offrendomi taxi non ufficiali, valuta locale, sigarette a buon prezzo e trasporto bagagli, è ormai solo un ricordo. Tuttavia, era forte in me il desiderio di rispondere loro:
Cari amici almatesi, ma mi credete così stupido da cadere nei vostri inganni? Ma vi rendete conto che provengo da una città del Meridione d'Italia che farebbe impallidire anche Caracas? Non sapete quanti anni ho trascorso in questa città, conosciuta in tutto il mondo per la sua speciale accoglienza nei confronti dei turisti, talmente rilassati da sentirsi più leggeri, più leggeri, più leggeri...? Ma non sapete che se alle Hawaii ti circondano il collo con una bella collanina di fiori, per la città da cui vengo io è indicato prenotarsi una corona di fiori? Suvvia, lasciatemi passare!


All'aeroporto ho visto gente viaggiare con paraurti di automobili pick-up, fiancate e tubi di scappamento come se tenesse in mano un beauty-case o un trolley. Se in aereo alcuni kazaki potessero portare galline o animali più grossi da rivendere al mercato come bagaglio a mano, credo che non esiterebbero a trasformare il veivolo in una nuova arca di Noè.

Bene, non so perchè, ma Almaty sa già di Cina: il commercio dei prodotti del gran re del dumping è qui vivissimo. Poco male, perchè nelle drogherie di Atyrau non era facile trovare prodotti d'ogni genere (solo la vodka può contare una cinquantina di marche diverse) e quando succedeva li pagavi salatamente. Qui invece ho già previsto di sbizzarrirmi con alcune visite nei supermercati, come se si trattasse di musei o, meglio, di un pomeriggio al luna park.

Il tassista che mi ha portato dall'aeroporto all'Hotel Kazakhstan (vedi foto) si chiama Igor e ha voluto lasciarmi il suo numero di cellulare per divenire il mio autista personale durante tutta la mia permanenza in città. Ama aumentarmi la tariffa perchè sono straniero (2000 Tenghè anzichè 900), ma sulle prossime corse conto di riportarlo alla normalità, altrimenti che se ne vada a spennare altri polli. Tra qualche ora mi vedrò con Irina Mykova, la responsabile alle risorse umane : si trova qui a far visita ad alcuni parenti, ma so che tra due giorni dovrà ripartire per Atyrau, dunque mi girerò la città in solitario. La cosa non riesce a dispiacermi affatto...
Irina è sempre molto festosa con me, la sua grande apertura culturale le consente di apparire più leggera e meno drammatica delle sue connazionali, sicuramente più ironica e aperta allo humour, il che mi da chances di non disperdere le mie continue freddure nell'incomprensione generale. Vi dirò, Irina è campionessa di battute, credo che questa sera sarà dura non riuscire a ridere!

A L M A T Y ! ! !

















Scoperti in Siberia due nuovi maxi giacimenti di gas condensato

Mosca, 12 febbraio – Due nuovi giacimenti di gas condensato, di cui uno enorme, sono stati scoperti in Russia, nella regione siberiana di Irkutsk. Lo ha reso noto l’agenzia Itar-Tass, citando fonti dell’agenzia territoriale per lo sviluppo delle risorse energetiche. Il giacimento più grande, denominato Angaro-Lenskoie, è situato a sud-ovest della città di Ust-Kut e la sua potenzialità è di 1200 miliardi di metri cubi di gas e di 60 milioni di tonnellate di gas condensato. Numeri che lo rendono comparabile con il giacimento Kovikovski, il più grande della Siberia dell’est, scoperto negli anni ottanta e le cui riserve sono stimate in 1900 miliardi di metri cubi di gas. L’altro giacimento scoperto, denominato Levobereznoie, è situato lungo la riva sinistra del fiume Angara, 150 km a nord della città di Sayansk: le stime parlano di riserve per 60 miliardi di metri cubi di gas e di 10 milioni di tonnellate di gas condensato.

The Big Game

Per chi arriva in macchina dalla Russia europea il biglietto da visita del Kazakhstan è costituito da una manciata di strade sterrate, disseminate di buche profonde fino a mezzo metro. A confermare che la madre Russia è ormai lontana ci penserà di lì a poco il paesaggio: una steppa desertica e desolata, che si distende a vista d’occhio.
È il Karachaganak, Nord-Ovest del Kazakhstan, una delle regioni più ricche di
petrolio e gas al mondo.

La corsa all’oro nero da queste parti è iniziata qualche anno fa. A darne il via non è stata tanto la dissoluzione dell’Unione Sovietica (e l’indipendenza raggiunta dal Paese nel 1991), quanto l’elezione a Presidente del discusso Nursultan Nazerbaev, ex leader del Partito Comunista kazako e attuale uomo più ricco del Paese, ottavo più ricco al mondo per uno Stato che stima un PIL di soli 56 miliardi di dollari, superato dal Bangladesh e di gran lunga da Nigeria e Romania. È stato il Presidente, infatti, a decidere la vasta opera di privatizzazione del settore energetico. Le maggiori multinazionali petrolifere non hanno esitato ad investire massicciamente nel Paese, spartendosi in poco tempo le licenze per lo sfruttamento dei giacimenti e gli appalti per la costruzione di infrastrutture e pipelines. Non è inusuale,quindi, sentir parlare italiano o inglese da queste parti: Agip e British Gas detengono le quote di maggioranza nel consorzio (cui partecipano anche la statunitense ChevronTexaco e la russa Lukoil) che per 40 anni ha diritto a sfruttare i giacimenti.


Incontriamo ingegneri con alle spalle Libia e Nigeria, Algeria e Mar del Nord. Ora gravitano attorno ad Aksai, un centro polveroso di 30.000 anime a pochi Km dal
confine russo. “Qui si lavora 12 ore al giorno” spiega un dipendente Agip “Ogni 4
settimane qua però ne passo altrettante a casa”. Più a lungo, del resto, sarebbe difficile resistere. Soprattutto in inverno, quando la temperatura può scendere fino ai 40 gradi sotto zero.
I tecnici stranieri risiedono per lo più nel Check Camp, una cittadella controllata a
vista da guardie armate. Le persone locali non vi hanno accesso, a parte le ragazze che la sera affollano il pub nella speranza dell’incontro che le possa cambiare la vita. “A parte l’ottimo stipendio, sono le ragazze a spingermi a continuare a lavorare in questo posto dimenticato da Dio” si confessa John, inglese, due anni da pendolare Londra-Aksai. Coloro che lavorano qui più stabilmente affittano alloggi in lugubri palazzoni costruiti in epoca sovietica. Con il crescere delle richieste, i loro prezzi sono lievitati a dismisura e affittare un minuscolo appartamento costa almeno 300 $ al mese. Sono pochi i locali che si possono permettere certe cifre, così la maggior parte di questi vive in vere e proprie catapecchie nell’Aksai vecchia dove manca tutto, paradossalmente anche acqua calda, luce elettrica e riscaldamento.
“A volte le ragazze ti si avvicinano solo per poter venire da te, farsi una doccia e dormire in un letto comodo al caldo” ci confessano alcuni italiani.

“Per me l’arrivo delle compagnie estere è stata una fortuna”. Da dietro il bancone del Trnava, l’unico negozio della città, Olga sorride scoprendo i suoi denti d’oro. Come lei, altri in città hanno trova to un lavoro: autisti, donne delle pulizie, guardiani. Nessuno come tecnico: quelli arrivano da Uralsk, Almaty, addiritura da Mosca. Per tutti gli altri locali, e sono la maggioranza, la vita è ancora fatta di piccolo commercio ai bordi delle strade dove sfrecciano fuoristrada americani e arrancano vecchie Lada.

Pochi Km più in là è campagna, e qui a vita scorre lenta e uguale a se stessa da secoli, tra pascoli e campi duri da coltivare. Le piattaforme delle unità produttive si vedono all’orizzonte, ma no n potrebbero essere più lontane.
La nuova frontiera nella corsa all’oro nero, ci spiegano gli esperti, si è spostata
qualche centinaia di Km più a sud, sul Mar Caspio. Si calcola infatti che in questo che è il più grande mare chiuso al mondo, sia racchius a quasi la metà delle riserve
petrolifere mondiali. Non a caso i cinque Paesi che vi si affacciano (Kazakhstan, Iran, Turkmenistan, Russia e Azerbaigian) non si sono ancora accordati sul criterio da seguire per la divisione delle sue acque.
Sulla sua costa settentrionale, nel territorio kazako del Kashagan, si è ancora allo
stadio esplorativo, ma gli attuali sviluppi sono straordinariamente incoraggianti tanto da far parlare del più importante ritrovamento petrolifero mondiale degli ultimi decenni (oltre 40 miliardi di barili di petrolio) che proietterebbe il Kazakhstan tra i primi 5 produttori mondiali di greggio. L’ENI l’anno scorso ha vinto la gara internazionale per essere operatore unico, ma tutte le maggiori compagnie mondiali sono presenti nel consorzio.
Atyrau, città-chiave affacciata sul fiume Ural a pochi Km dal Caspio, si sta
rapidamente trasformando. Sul ciglio della strada troviamo donne che vendono
biscotti casalinghi, sigarette sciolte e latte nelle bottiglie di plastica dell’acqua. Alle loro spalle si erge una vera e propria città nella città, costruita dagli americani della Chevron: caseggiati color panna che ospitano non solo abitazioni, ma anche scuole, asili nido e ristoranti; il tutto naturalmente recintato e ipercontrollato. Le altre compagnie si stanno attrezzando: alberghi di lusso e moderni edifici, quali quello costruito dall’Agip per i suoi uffici, stanno nascendo tra i vecchi palazzoni del centro e le catapecchie della periferia.
La prossima fase del “Big Game” per il controllo del petrolio caspico si giocherà in
queste terre e riguarderà il problema che per anni ha frenato l’attività estrattiva nella zona, quello degli oledotti. Di fronte, nonostante i più o meno concreti avvicinamenti politici degli ultimi tempi, Russia e Stati Uniti.
La Russia gode di un vantaggio iniziale: tutte le pipelines attualmente esistenti, per quanto obsolete o attraversanti zone instabili (come la Cecenia), tagliano almeno in parte il suo territorio e su esse Mosca impone pesanti royalties. Inoltre, dopo circa dieci anni di lavori e oltre 2,5 mld di euro di investimento, ha inaugurato una nuova pipeline che dal Kashagan raggiunge il proprio porto di Novorossiisk, sul Mar Nero. Gli Stati Uniti sembrano in ritardo, ma l’appoggio di molti Paesi ex sovietici decisi ad affrancarsi dalla condizione di “cortile di casa” di Mosca, e i maggiori mezzi finanziari e tecnologici, possono colmare il gap. L’obiettivo è quello di sviluppare una rete di trasporto che eviti Russia e Iran .

L’oleodotto che da anni gli Stati Uniti hanno sostenuto per bypassare quelli russi, è il Baku (Azerbaijan) - Tblisi (Georgia) - Ceyhan (Turchia). Rimane anche in piedi l’opzione Baku - Supsa (Georgia) e da qui il trasporto del greggio via nave verso l’Europa attraverso il Mar Nero. E soprattutto, con lo stabilizzarsi della situazione afgana, può ritornare in auge un’ipotesi caldeggiata dalla Casa Bianca fin dagli anni ’90: una super-pipeline (oltre 1000 Km) che porterebbe il petrolio dell'Asia Centrale da Chardzhou (Turkmenistan) fino alla costa pakistana del Golfo Persico passando per l’Afghanistan. Il perché di tale investimento è chiaro: con i livelli di sviluppo di questi anni, la domanda di energia da parte dei Paesi del sud-est asiatico crescerà esponenzialmente. Per lo stesso motivo, la stessa Cina cerca di ritagliarsi uno spazio tra Russia e Stati Uniti: nonostante gli ingenti costi che comporterebbe, è in fase di progettazione un oleodotto che la raggiungerebbe dopo aver attraversato tutto il Kazakhstan. I prossimi anni ci diranno chi saranno i vincitori del “Big Game” che determinerà il futuro energetico del pianeta.
Intanto scende la sera ad Ayrau e le donne rannichhiate ai lati della strada continuano a vendere i loro biscotti impolverati. Alzano lo sguardo solo di tanto in tanto, per controllare i loro figli che si tuffano nelle acque inquinate dell’Ural.
Comunque vada, il “Big Game” ha già i suoi spettatori.
(ringrazio il collega e amico Diego Rivetti per le sue testimonianze)

Progetto Karachaganak

http://www.eni.it/italiano/notizie/riviste/ec597_4.html

Il primo contratto firmato è un accordo di Production Sharing per lo sviluppo del giacimento di Karachaganak, un campo a gas e condensati vicino alla città di Aksaj nella regione di Uralsk nel nord-ovest del Paese. Le riserve del campo, recuperabili in 40 anni, sono stimate pari a 500 miliardi di metri cubi di gas e 300 milioni di tonnellate di olio e condensati.
L'accordo conclude una fase di lunghi negoziati iniziati nel 1992 quando l'Agip, la British Gas e la Repubblica del Kazakhstan avevano firmato ad Almaty un Protocollo di intesa in base al quale Agip e British Gas acquisivano il diritto esclusivo di negoziare un Production Sharing Agreement per lo sviluppo e la messa in produzione del campo.
Nel marzo 1995, si era arrivati alla firma di un accordo preliminare di Production Sharing (PSPA), che ha consentito al consorzio Agip e British Gas, da un lato, di iniziare a operare sul campo per creare idonee condizioni di manutenzione, protezione ambientale e sicurezza e, dall'altro, di continuare a negoziare per raggiungere l'accordo finale senza dover temere che la situazione tecnico-produttiva del campo si deteriorasse.
Quest'anno la società americana Texaco, che da tempo aveva manifestato il suo grande interesse a partecipare allo sviluppo del campo, ha formalizzato la sua partecipazione, acquisendo da Agip e British Gas una quota del 20% del progetto e, all'inizio di novembre, la più grande società petrolifera russa, Lukoil, ha acquisito una quota del 15%.
Le partecipazioni nel campo sono quindi ad oggi le seguenti: Agip (32,5% con ruolo di operatore), British Gas (32,5% con ruolo di operatore), Texaco (20%) e Lukoil (15%).
Sulla base del nuovo accordo siglato, le compagnie acquisiscono il diritto di sviluppare e operare il campo per i prossimi 40 anni.
Gli investimenti previsti dal progetto sono circa 7 miliardi di dollari (la quota dell'Agip è pari a oltre 2 miliardi di dollari) e i partners avranno diritto ad acquisire una quota della produzione del campo tale da consentire il recupero degli investimenti e una adeguata remunerazione.
Karachaganak sarà sviluppato per fasi successive, in funzione della capacità di assorbimento della produzione da parte del mercato kazakho e russo e in attesa di disporre delle infrastrutture necessarie all'esportazione.
Inizialmente si prevede di produrre 3,6 milioni di tonnellate/anno di olio e condensati; dal 2001, attraverso il ripristino di alcuni pozzi esistenti, la perforazione di nuovi pozzi, l'installazione di un impianto di separazione, di trattamento e di reiniezione gas e la costruzione di un impianto di trattamento dei liquidi, la produzione e le vendite dovrebbero salire a 5 miliardi di metri cubi/anno di gas e ad 8 milioni di tonnellate/anno di olio e condensati.
Circa 6 milioni di tonnellate all'anno di liquidi verranno trasportati fino al Mar Nero dal nuovo oleodotto (Caspian Pipeline) che dovrebbe entrare in funzione alla fine del 2000.
Il livello massimo delle vendite è previsto intorno ai 12 milioni di tonnellate di olio e condensati e 15 miliardi di metri cubi di gas.
Per quanto riguarda il Caspian Pipeline che collegherà il Kazakhstan al Mar Nero, l'Agip, in qualità di azionista, partecipa alla sua costruzione.
Partners di maggioranza del consorzio sono i governi russo, kazako e omanita, che insieme controllano il 50%. Il rimanente 50% è attribuito a società petrolifere titolari di diritti per lo sfruttamento di giacimenti situati nella regione servita dall'oleodotto. Sono presenti, oltre all'Agip, le russe Lukoil, Rosneft, la compagnia kazaka Munaigaz, le occidentali Chevron, Mobil, British Gas ed Oryx. Operatore della nuova linea sarà la compagnia russa Transneft.
L'accordo prevede che il finanziamento dell'opera, pari a circa 2 miliardi di dollari, sia a carico totale delle società petrolifere che partecipano al consorzio. Pertanto, ciascuna azienda investirà una cifra pari al doppio della quota azionaria posseduta.
Il nuovo oleodotto contribuirà in maniera decisiva allo sviluppo e alla esportazione delle risorse petrolifere del Kazakhstan, che non possiede uno sbocco naturale verso il mare aperto. La partecipazione del Governo russo al consorzio garantisce, inoltre, il passaggio del greggio prodotto in Kazakhstan nel territorio della Federazione russa, fino al porto di Novorossiysk sul Mar Nero.
La realizzazione del Caspian Pipeline, di cui attualmente è in costruzione il primo tratto che parte dal Mar Nero, richiederà circa due anni e consentirà un flusso iniziale di circa 30 milioni di tonnellate l'anno di greggio (quota Agip: circa 3 milioni di tonnellate/anno).
La creazione di questo nuovo oleodotto conferisce nuovo valore alle riserve possedute in Kazakhstan dalle società partecipanti e pone le premesse per procedere alla concretizzazione di progetti di più ampio respiro.

Progetto Caspio

http://www.eni.it/italiano/notizie/riviste/ec597_4.html

L'accordo intervenuto fra la Repubblica del Kazakhstan, Agip, British Gas, BP-Statoil, Mobil, Shell, Total e la società di Stato Kazakhstancaspishelf (KCS) con una partecipazione paritetica del 14,3%, è relativo all'esplorazione ed eventuali sviluppo e messa in produzione di un'area di circa 6000 chilometri quadrati nel nord del Mar Caspio. L'accordo fa seguito a quello firmato dalle stesse compagnie con la compagnia di Stato "Kazakhstancaspishelf" (KCS) nel dicembre 1993, che ha dato il via ad uno dei più grandi rilievi sismici mai effettuati al mondo, rilevando ben 26.180 km di linee sismiche nel Nord del Caspio e giungendo ad identificare varie strutture minerarie molto promettenti.
Sulla base di questi risultati sono stati selezionati 12 blocchi, oggetto del nuovo accordo.
Gli investimenti per la messa in produzione dei giacimenti potranno superare i 20 miliardi di dollari e le compagnie straniere, oltre ad acquisire una quota rilevante delle riserve, potranno recuperare i costi sostenuti dalla vendita degli idrocarburi prodotti in proporzione alla loro quota di partecipazione.
La profondità delle strutture (oltre i 4000 metri), le altissime pressioni, le difficili condizione climatiche (in quest'area il Caspio gela per più di cinque mesi all'anno) e le conseguenti difficoltà logistiche sono solo alcune delle sfide che i partners si trovano ad affrontare.
La più grande delle strutture individuate, quella denominata Kashagan (60 chilometri di lunghezza, 20 di larghezza e 1000 metri di spessore), potrebbe risultare il più vasto giacimento di tutto il Kazakhstan e uno dei più grandi al mondo.
Il progetto Caspio apporterà notevoli benefici sia alle compagnie che vi hanno investito, in termini di aumento della produzione e delle riserve, sia al Kazakhstan, in termini di trasferimento di nuove tecnologie, addestramento e formazione del personale con nuove possibilità di impiego e ulteriori investimenti che stimoleranno lo sviluppo dell'economia locale.
L'investimento già effettuato dai partners nell'arco di questi primi tre anni ammonta a oltre 300 milioni di dollari. L'Agip, oltre a partecipare al rilievo sismico, ha provveduto anche ad organizzare e condurre l'addestramento del personale tecnico kazako e, insieme agli altri partners, ha realizzato studi di impatto ambientale, sviluppato infrastrutture, uffici in Almaty, Atyrau e Aktau, una base logistica e di stoccaggio, un centro di elaborazione dati ad Atyrau, due impianti di desalinizzazione (uno a Bautino e uno ad Atash), una fabbrica per inscatolare il pesce a Bautino, un allevamento del pesce ad Atyrau. Oltre a questo, sono stati realizzati anche alcuni piccoli progetti di miglioramento del sistema di riscaldamento di Atyrau, dei due aeroporti di Atyrau e Aktau, dei centri di dialisi e dentistici locali, nonché diverse sponsorizzazioni e donazioni di computers e libri alle scuole locali.
Il presidente dell'Eni Guglielmo Moscato, commentando i due accordi, ha dichiarato: "Siamo molto orgogliosi di essere stati fra gli iniziatori di questi due grandi progetti in Kazakhstan.
Era da tempo che volevamo dare nuova vita al giacimento di Karachaganak e siamo particolarmente felici di raggiungere questo traguardo insieme al varo del primo progetto offshore in Kazakhstan. Questo secondo progetto rappresenta il primo tentativo di svelare le ricchezze nascoste del Nord del Caspio e costituisce un grande passo avanti per l'industria petrolifera kazaka.
Entrambi i progetti riguardano giacimenti considerati supergiant, il cui sviluppo potrà contribuire alla crescita economica di questo grande Paese, consentendo all'Eni un'affermazione di grande prestigio internazionale con una forte valorizzazione dei propri assets.

L’uomo a una dimensione_




Che complesso microcosmo quello dei general contractor nell’oil and gas... Un business a sè, pieno di carte e contratti, corrispondenze con clienti, fornitori, responsabili al montaggio, manager, infinite risorse umane le quali provenienti da molti Paesi diversi (se India e Thailandia ancora meglio, ma non per tutti le mansioni); solo questo ufficio di filiale estera conta una ventina tra segretarie, impiegate nel personale, nella contabilità, nelle paghe e nei contratti; in cantiere altre centinaia tra operai, capicantiere, impiegati negli uffici, trasportatori, ingegneri d’ogni specializzazione. Come quella russa, la società kazaka è gestita da donne molto abili e ordinate nel settore terziario oltrechè in quello commerciale. Sempre molto pulite, eleganti e piacevoli, portano sulle proprie spalle dieci ore di attività giornaliera, con una sola pausa pranzo. E’ il core del business che lo richiede, il Ministero del lavoro kazako autorizza questa eccezione sindacale a favore delle compagnie straniere dell’Oil and Gas perchè le relative attività non possono beneficiare di lunghe soste produttive, inoltre devono poter contare su un servizio di smistamento contatti e su una continua elaborazione dati che non consentono molte ferie. In Kazakistan l’Oil and Gas è il settore dove, non senza sacrifici, si fa carriera e molti soldi, non di rado mi capita di conoscere ragazze molto ben vestite e dal perfetto inglese le quali sono passate dalla KazMunaiGas all’Agip fino alla Chevron o viceversa. Il dualismo tra denaro e persone è un vortice inarrestabile che soffia su Atyrau. Infatti, il motivo per cui Gaukhar, giovane addetta nel personale, proviene da Aksai è semplicemente legato al fatto che la stessa compagnia per la quale lavora si è spostata da Aksai a qui. E così via...

Design rivoluzionario_




Quando studiavo il russo all’università, ebbi una simpatica discussione con la mia professoressa Vera Ieraci, con la quale non andavo d’accordo sul termine da coniare sull’arredamento in stile sovietico. Pur non disdegnandolo affatto, io ritenevo che esso fosse da definirsi kitch in quanto scadente riproduzione dell’arredamento occidentale, tanto nei materiali quanto nella scelta dei colori. La prof insisteva nel conferire maggior prestigio a questo tipo di design e a chiederci di chiamarlo stile retrò. Crollata l’Unione sovietica, oggi il grosso successo delle cucine, dei mobili e dei frigoriferi italiani in Russia è una realtà e forse, almeno in parte, depone a favore della mia tesi. Tornando al nostro Kazakistan, sono stato in un ristorante di cucina tipica russo-kazaka, gentile serata offerta da un capocantiere e dal responsabile finance della branch. Lo stile interno è un misto tra il gitano e l’elegante ortodosso, mi ricorda un grand hotel della Mosca brezhneviana degli anni Settanta, dove dormii nel 2001. Il ristorante era tutto un sistema di tende ricamate a ghirigori dorati, lignee colonnine ioniche tappezzate con festoni argentati. Ma la parte più caratteristica è una pista da ballo che manda luci da tutti gli angoli... Abili contorsioniste e frenetici ballerini vi hanno danzato balli tipici nazionali, mi è piaciuto molto. Chi mi conosce lo sa: a tavola sono un avventuriero, mi chiamano l’Indiana Jones della forchetta, il Messner del piatto strano, il Nosferatu del gusto... “Devushka, pozhalusta, mne nuzhna probavat vashaja kazakaja kuchnja. Chto vy podskazivaete minjè?” “Podazhdite u posmotrì!” (“Signorina, per favore, ho bisogno di assaggiare la vostra cucina kazaka. Cosa mi suggerite?”, “Aspetti e vedrà!” mi ha risposto la cameriera, volto nipponico e capelli tinti di biondo – nessuna paura, non è un’emigrata del Sol Levante, è solo kazaka, qui hanno tutti gli adorabili occhi a mandorla!). Mi arriva della lingua di cavallo affettato e servita in tre modi diversi: in gelatina, a rondelle e a fettine lunghe affumicate. Carne tenera e magra, mi sono letteralmente scialato (this term it’s not Russian, just fuckin Calabrian!).

Loisirs_


Piscina, sauna, bagno turco, palestra, massaggi. Per fortuna che posso distrarre la mia mente da tanta anemia psicologica e intellettiva con l’allenamento fisico, così almeno torno in Italia con qualche kg in meno e qualche muscolo in più. E riprendere/riperdere tutto in tortelli al ritorno, ovviamente!
L’addetto alla sicurezza si chiama Serghey, è un russo etnico, come il 37 % della popolazione kazaka, dunque niente occhi a mandorla e capelli scuri, ma biondissimo e alto un metro e ottantacinque. Un piede rosso, si definirebbe in una certa tesi di laurea... Tipo tanto simpatico quanto paziente all’ascolto del mio lento e giurassico russo... Non rischio di affogare sotto la sua sorveglianza, perchè finora ho trovato la piscina (30x10 metri) tutta per me e non ha altri da sorvegliare che me. Almeno spero non pensi che io nuoti come parlo il russo!

A guardia del fortino_

Asmanovskij è il guardiano. E' al momento il mio compagno preferito, perchè è il portinaio che sta di guardia al palazzo. Seduto su una dura sedia di legno, quasi nell'oscurità, cercando di non addormentarsi a causa del secondo lavoro dal quale ha da poco staccato... Non è solo compassione se ormai siamo legati: nei discorsi affrontiamo famiglia, lavoro, ragazze, opinioni politiche. Non ultimi i progetti professionali: ieri sera mi ha confessato il desiderio di voler fare affari mediante la mia consulenza sul mercato italiano per esportare del caviale (quello vero, nero come la pece, caro quanto l’oro) dal Kazakistan. L’idea è ambiziosa, di non facile realizzazione, ma se ne può parlare già con Federica, un’amica che opera nel settore ittico dei surgelati (ma guai a surgelare un caviale così prezioso!). Il pesce che vive nel Mar Caspio è invece copioso, di ottima qualità e poco costoso. Peccato che non potrò trasportare del caviale con me in Europa : mi hanno detto che se me ne trovano in valigia più di 50 grammi dovrò pagare un’ammenda di circa 400 €. Conoscendo quell'aeroporto, mi domando: cosa useranno in quella scatola di compensato che chiamano "partenze internazionali dell'aeroporto di Atyrau" ?
I detector a raggi X o i cani da caviale? Sniff sniff, bau-bau!

Deserto_



Deserto
Deserto di terra
Deserto di terra bagnata
Un’immensa poltiglia non profonda
Eppure sempre viscida
Che facilmente, troppo facilmente schizza sui vestiti.
Nessuna vegetazione,
Nessun albero
Neanche il più secco cespuglio.
E’ terra morta, questa di Atyrau,
Capace di generare nient’altro che fango.
Ricca nel sottosuolo
Miseria in superficie.
Polverosa, quando è secca
Sopportabile solo quando non piove
Nè nevica
Nè quando essa viene a contatto con la nebbia
O viene a trovarsi vicina ad un canale.
Deserto
Deserto di terra
Deserto di terra putrida

Atyrau come Abu Dhabi:
ma perchè il petrolio odia così tanto la sua superficie?

La parola ai geologi.

Saluti da Atyrau – Karabatan (territorio del Kashagan East Field Development)

Kazakistan: un Paese, un perchè.


Il viaggio_




Il viaggio da Amsterdam (Boeing 757 dell’AirAstana) mi è parso molto più lungo di quanto immaginassi, evidementemente perché non ero affatto riposato, vista la levataccia delle tre di mattina (direi: le tre di notte...). Altrimenti non è così difficile arrivare ad Atyrau, sono solo 3380 km dall’Olanda in linea d’aria. Nulla in confronto ai 2700 km che ho percorso nelle ultime vacanze di Natale, tra un aeroporto e l’altro, tra la Emilia e la Calabria, tutto in macchina...
Arrivo all’aeroporto di Atyrau e non vedo altro che un prefabbricato umido di cento metri quadri, con i cartoni al posto del pavimento e il soffitto in compensato di appena due metri. Scesi dall’aereo si deve passare al guado di una pozzanghera larga e profonda quanto un lago (non immaginavo che il Mar Caspio fosse così vicino!) Ecco, in questa dolce cornice comincia la lunga coda dei passeggeri occidentali (nessuno con le scarpe salve, dopo il Camel Trophy di prima), perchè i gendarmi (militsionjer) trasformino la lettera di presentazione in visto consolare e si siano compilati altri fogli d’ingresso attraverso passaggi inso-lenti, fedeli soltanto alla non ancora defunta burocratsja. Durante tutta questa attesa mi sono domandato: ci sarà ancora un autista ad aspettarmi al di là di questi cabine di controllo? Sapendo dell’esperienza vissuta da un collega, temevo anch’io di dover fare un tratto di strada fuori dall’aeroporto, con le valigie trascinate tra fango e buche putride, nella speranza di incrociare l’auto della salvezza!
Ma a me è andata meglio: l’autista, di nome Gromik, mi ha aspettato sino all’ultima pratica di registratsja ed era anche molto simpatico: con lui ho avuto modo di parlare russo durante i 5 km che distano dall’aeroporto alla residenza (durante il viaggio ho contato 3 gigantografie dell’ onniPresidente Nursulatan Nazarbayez). Abbiamo fatto amicizia e, sigaretta alla mano, ormai conversiamo tranquillamente di auto e di calcio (argomenti che per fortuna non conoscono confini geografici, ma che per mia sfortuna non conosco bene neanche in Italia!).

Arrivatò, disse un franco-nipponico...




Eccomi finalmente. Affacciato dalla finestra della cucina di questo splendido appartamento, ammiro il largo fiume Ural completamente ghiacciato, lo vedo fare una bellissima curva come solo il Tamigi riesce a disegnare lungo il suo percorso. Esso si snoda attraverso la città in direzione nord-sud e indica il confine tra Asia e Europa. Quanta irresistibile felicità nell’annunciarvi che mi trovo nuovamente in Asia...
Per darvi un’idea del posto in cui mi trovo, a chi di voi conosce Londra posso dire di situarmi nel South Bank di Atyrau (la zona di Waterloo Station). Peccato che di South, qui, ci sia solo il senso di arretratezza, e di Bank solo l’idea che girino tanti petrodollari, ma almeno il dolce paesaggio fluviale è simile.

www.atyrau-city.kz/Eng/